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Un nuovo percorso culturale. Fatto di intensa ricerca culturale e musicale, in un fil rouge lungo le strade dell’amore, quello dei Cantori di Carpino, e dell’emarginazione sociale, con Matteo Salvatore. Reso possibile dall’ultima generazione del gruppo garganico e da Matteo Grifa, interprete sensazionale del cantastorie di Apricena. Missione compiuta, dunque, per la proposta lanciata dal Centro studi tradizioni popolari “Terra di Capitanata” e dall’Associazione “Cantori di Carpino” che hanno fortemente voluto questa esperienza, la prima nel suo genere che ha messo in rete le due anime della musica popolare del Gargano.
Un viaggio nella storia e nella cultura della “montagna del sole”, dai maestri cantori agli uomini del nostro tempo, come l’avv. Vincenzo Scarcia, presidente delle Ferrovie del Gargano, di recente scomparso. «L’imprenditore barese – è stato così ricordato nel corso della serata – che amava il Gargano e la sua gente. Un garganico d’adozione di cui questa Terra deve andare fiera».
«Un momento di particolare vitalità artistica – ha commentato Nicola Gentile, leader dei “Cantori” – in un percorso che intende coniugare valore musicale al patrimonio enogastronomico del territorio. Sin da nostro primo incontro con Matteo Grifa, avevamo intuito che c’erano molte affinità. E il risultato è ora sotto gli occhi di tutti»Pubblico delle grandi occasioni e location ideale quella delle Cantine D’Araprì per uno spettacolo dalle grandi emozioni. In prima fila anche il neo vescovo di San Severo, mons. Gianni Checchinato. «Un compito non facile ma che abbiamo centrato – ha ricordato Gabriele Falcone, presidente del Centro studi “Terra di Capitanata” -. Ma il merito va agli artisti protagonisti di questo progetto che ora si prepara a imboccare strade sempre più particolareggiate a cominciare dagli in incontri nelle scuole».
Finale culinario con la cena-degustazione proposta dalla Gastronomia di Porta San Marco di San Severo. Un calate il sipario per i virtuosi del palato attraverso piatti e prodotti della cultura garganica. Coordinamento della CDP Service di San Severo

Anche la comunità arbëreshë di Casalvecchio di Puglia ha paretecipato alla “Valles së fitores”, la “danza della vittoria”, che ricorda il 550.mo anniversario dell’ultima grande vittoria di Giorgio Castriota Skanderbeg, il grande condottiero, eroe nazionale albanese, che il 27 aprile 1467 liberò dall’assedio la città di Kruja, battendo e costringendo ad una fuga precipitosa l’esercito ben più potente ed attrezzato del sultano Maometto II.  La delegaziuone del piccolo centro subappenninioco era guidata dal sindaco Noè Andreano; c'erano anche rappresentanze di Lungro (Cosenza) e San Marzano di San Giuseppe (Taranto).

Elida Jorgoni in Albania, e Pirro Qendro, che risiede a Bologna, in collaborazione con il giornalista foggiano Loris Castriota Skanderbeg, discendente del grande eroe, hanno organizzato una visita che si è articolata su più giorni e in diverse città storiche albanesi. I “cugini” albanesi hanno potuto mettere a confronto la lingua, le tradizioni, i canti e i balli popolari ma, soprattutto, le forti emozioni di chi rivede una parte di “famiglia” dopo decenni -in questo caso, secoli- di forzata separazione. Sempre seguiti dalle maggiori testate giornalistiche nazionali e locali, gli arbëreshë hanno visitato prima Kruje, dove hanno ballato la “Danza della Vittoria'” con tanti cittadini in costume, nel cortile del Castello che fu dimora di Skanderbeg e oggi ospita un museo dedicato alla storia dell’eroe, oltre che a quella più antica del Paese. Il giorno dopo, tappa a Lezhë, dove gli italo-albanesi sono stati accolti dal sindaco Fran Frrokaj, unica autorità pubblica a sostenere economicamente l’iniziativa e ad assicurare l’accoglienza istituzionale, grazie all’impegno del responsabile del settore culturale del Comune, Paulin Zefi. La cerimonia solenne di accoglienza si è svolta nel Mausoleo di Skanderbeg: un monumento costruito attorno ai ruderi dell’antica cattedrale di San Nicola che ospita la tomba del grande guerriero. Tomba, però, vuota, perché quando i Turchi conquistarono la città, aprirono il sepolcro per saccheggiare le singole ossa di Skanderbeg e farne amuleti, con l’illusione di ricavarne forza, coraggio e sapienza militare. Subito dopo, davanti al mausoleo, albanesi ed arbëreshë si sono uniti per cantare insieme canzoni antiche che appartengono alla comune tradizione.

Nel pomeriggio, i 60 ospiti si sono trasferiti a Scutari, splendida città del nord, storicamente cresciuta sotto l’influenza culturale e anche politica ed economica (fino alla conquista ottomana) dell’Italia e di Venezia in particolare. Anche qui, splendida accoglienza, coordinata da Mirsad Basha, attivista di una associazione culturale locale, con numerosi scutarini in costumi tipici di diverse prefetture dell’intera Albania, ma anche del Kosovo. Tantissimi i cittadini che si sono assiepati in piazza per vedere i loro “parenti” d’oltremare e festeggiarli con gioia, balli, canti e tanto clamore, al grido di “Rroftë Skenderbeu” (Evviva Skanderbeg) e “Rroftë Shqipëria” (Viva l’Albania). Poi, visita al grandioso Castello di Rozafa, la storica fortezza albanese mai espugnata, che fu l’ultima ad arrendersi all’invasione ottomana, solo in virtù di un trattato tra i Veneziani che controllavano la città e i soldati del sultano che da tempo assediavano vanamente le mura fortificate. Nell’ultima giornata, i gruppi arbëreshë hanno visitato il Castello di Lezha, anche questa bellissima fortificazione situata sulla cima del monte che sovrasta la città, poi Kepi i Rodonit, promontorio sul mare che ospita la chiesa del XII secolo di Shën Anton con le rovine del monastero omonimo e il castello in rovina che ospitò Skanderbeg in luna di miele ma fu, soprattutto, porto fortificato del grande eroe.

Eugenio Bennato ha mantenuto la promessa. Questa mattina, ha reso omaggio alla tomba del cantastorie dei poveri, Matteo Salvatore, nel cimitero di Apricena raccogliendosi in preghiera insieme ai suoi musicisti, al suo staff e al produttore Renato Marengo che lo aveva preceduto qualche settimana fa. Il cantautore napoletano, noto per la sua vecchia amicizia con l'artista garganico scomparso nel 2005, ha visitato il monumento funebre eretto nel giugno scorso grazie anche all'impegno del nostro Centro Studi. Accompagnato dall'imprenditore Franco Dell'Erba si è informato sull'opera disegnata dall'architetto Giovanni Carrozzo e realizzata dal maestro scalpellino Antonio Del Campo.

«Un omaggio doveroso - ha ricordato Bennato - a un uomo che amava questa terra descrivendone amarezze e paure. Artista che ha ancora bisogno di una giusta dimensione in campo culturale e storico. Bene ha fatto Apricena, anche se con un po' di ritardo, a edificare questo monumento. Un complimento particolare al Centro Studi Tradizioni Popolari "Terra di Capitanata" per l'idea, realizzata, mi è stato detto, in poche settimane grazie anche alla spinta e alla volontà del Comune. Come amico e cultore della musica di Matteo Salvatore non posso che esserne felice». Poi un aneddoto, uno dei tanti che aleggia sulla figura del cantastorie di Apricena. «Un Capodanno - ha aggiunto Bennato - venne a casa mia per festeggiarlo insieme alla mia famiglia e a mio fratello Edoardo. Stette da noi tre giorni e al momento di partire mi disse: "Me ne devo andare? Qui mi sento a casa mia...". Ci basta per capire la schiettezza di una persona che anche della semplicità aveva arricchito la sua vita». L'incontro è stato coordinato da Matteo Rendina.